Roberto Bianchi e Alessandro Flisi a Legnano
Serata con due leggende allo stadio Peppino Colombo. Abbiamo infatti avuto il piacere di avere ospiti a Legnano per un incontro con i ragazzi del Legnano Kemind due uomini che hanno fatto la storia del baseball, italiano e non solo: stiamo parlando di Roberto Bianchi e Alessandro Flisi. “Conoscevo la società Legnano Baseball e Softball ma non mi aspettavo un’organizzazione così capillare e strutturata. Complimenti”: questo uno dei passaggi dell’intervista fatta ai due campioni che ci rimpie di orgoglio.
Cominciamo in rigoroso ordine alfabetico con Roberto Bianchi, che in carriera ha vinto due volte la Tripla corona, è il recordman assoluto di punti battuti a casa (1.170) e punti segnati (1.106) in serie A e in Nazionale con 46 fuoricampo è il primatista assoluto.
Roberto Bianchi a Legnano, un sogno
“Ringrazio voi per avermi dato la possibilità di incontrare i vostri ragazzi che ho visto molto motivati cosi come lo sono tutte le persone che gravitano attorno al Legnano Baseball e Softball”.
Hai incontrato i ragazzi neo promossi in serie B, cosa ti sei sentito di dire loro?
“Di mettere sul campo tutta la passsione che li porta ogni giorno ad indossare spikes e guanto cosi come facevo io alla loro età e cercare di carpire ed assorbire ogni minimo insegnamento che gli allenatori messi a loro disposizione dalla società si prodigano di fare”.
Eri mai venuto a visitare il nostro centro sportivo? Che percezione hai avuto della società?
“Non ero mai venuto a visitatre il vostro Centro sportivo, ne sono rimasto positivamente colpito sia dalla passione di tutti voi nel curarlo che dallo sforzo fatto per renderlo perfetto”.
La tua esperienza negli Usa, ricordi e rimpianti?
“I ricordi che ho delle mie esperienze negli Stati Uniti sono tanti, belli brutti e tutti alla loro maniera mi hanno aiutato a formare il giocatore che poi sono diventato. Sicuramente la cosa che piu mi colpì fu la differenza di mentalità dei ragazzi nell’affrontare quotidianamente gli allenamenti e le partite. I rimpianti ci sono, ho avuto per due volte la possibilità di andare a giocare in America, la prima volta la Federazione Italiana mi negò la possibilità in prospettiva Olimpica, la seconda invece feci un try out ad invito a Los Angeles in California e quando ero in procinto di partire per gli spring training in Arizona la squadra in cui militavo allora , il Bologna, mi fece un’offerta che non potei rifiutare (vista anche l’età ) e quindi invece che prendere l’aereo per l’Arizona lo presi con destinazione Italia”.
In passato hai dichiarato che probabilmente il coach più importante che ha segnato maggiorante la tua carriera è stato Hiro Tsugawa, perchè?
“Mi fece approcciare agli allenamenti con la tecnica e mentalità giapponese che comporta ore ed ore di allenamenti senza mai mollare di un centimentro. Mi faceva fare tra swing a vuoto, batting tee e battute sul campo una media di circa mille battute al giorno”.
Hai un ricordo legato al campo che mai dimenticherai?
“Come ho detto ai ragazzi al campo che me lo hanno chiesto, uno dei più bei ricordi è quello legato ai Campionati Europei del 1983, era anche la qualificazione per la partecipazione alle Olimpiadi di Los Angeles 1984, la prima volta per il Baseball. Andai in battuta con 2 out all’undicesimo inning della terza partita con il punteggio di 2 a 2, feci il fuoricampo della vittoria e del ticket per le Olimpiadi, di quel momento ricordo tutto”.
Come dovrebbe essere impostato il baseball in Italia secondo Roberto Bianchi?
“Questo è un periodo difficile per il baseball Italiano. Pandemia e crisi economica pregiuducano molto le possibilità sia per la Federazione che per i Club. Forse è il momento giusto di pensare meno ai risultati ed investire tutto sui giovani, dando loro la possibilità di giocare il più possibile perchè solo giocando si migliora. A noi fu data questa possibilità con Club Italia, una Nazionale fatta da giovani tra i 17 e 20 anni. Con questa squadra giocavamo 12 mesi all’anno svernando in Paesi tropicali quando in Italia era freddo dove il baseball è religione. Da quel gruppo di giovani uscì il nucleo dei giocatori che compose la Nazionale maggiore per quasi un decennio”.
Mondiali, Olimpiadi, Golden boy del nostro baseball, che cosa è rimasto di quel passato?
“Del passato sono rimasti i ricordi, i dolori dovuti a 11 interventi alle ginocchia, alla schiena e alle spalle. Ma rifarei tutto allo stesso modo, con un mare di amici con i quali abbiamo girato il mondo e ancora tantissima voglia baseball. Spero di poter rientrare in futuro in quello che è stato il mio mondo da quando ho memoria. Vi ringrazio ancora per aver fatto riaffiorare i ricordi e spero di rìtornare presto”.
Proseguiamo con Alessandro Flisi, un’altra leggenda da 71 homerun nella massima serie e ben cinque nella fantastica avventura del mondiale italiano del 1998 tra cui i due nella spettacolare notte di Grosseto che portò l’Italia tra le prime quattro squadre del pianeta.
Alessandro Flisi: una carriera molto importante concentrata, intensa e ci dicono un po’ da mascalzoncello…
“A dire il vero le carriere sono state 2 . Inizio a giocare a 7 anni come raccontavo ai ragazzi, dopo 3 anni di attività vinciamo il primo titolo italiano ed in quella fase ero prima base ed iniziavo a lanciare. Nel giro di pochi anni per le categorie giovanili ero un lanciatore molto forte, che addirittura ho esordito in serie A a 15 anni. In Nazionale under 18 ero il lanciatore titolare per la finale contro l’Olanda, ai mondiali under 18 in Canada ebbi proposte di firma per franchigie Mlb ma purtroppo ai tempi, come ha spiegato Robby ai ragazzi, c’erano regole molto vincolanti. Al mio braccio probabilmente è stato chiesto più del dovuto, lanciando anche due partite nello stesso giorno pur di vincere un campionato e da una stagione all’altra mi sono ritrovato da lanciare a 92 miglia a “tirare” 78 miglia con dolori insopportabili. Avevo uno strappo di 2,8 cm nella cuffia dei rotatori irrimediabile in Italia a quei tempi . Da questo momento, avevo 19 anni,è rinata la mia seconda carriera da prima base e battitore con l’obiettivo di tornare in nazionale e tra i migliori giocatori italiani. Sono stati anni difficili di lavoro intenso e costante senza mollare mai un secondo arrivando al risultato dopo 5 lunghi anni. Più che mascalzoncello mi definirei intollerante e con una carica agonistica a volte fuori dalle regole anche con il settore arbitrale che non aveva colpe”.
Una famiglia, la tua, di grande tradizione nel baseball e nel softball. Il papà allenatore, lo zio giocatore in serie Nazionale, la sorella Francesca prima base di quel Parma guidato allora dal nostro direttore e poi tuo figlio.
“Il baseball per la famiglia Flisi non è semplicemente uno sport ma uno stile di vita del quale ci si innamora ed a cui si sarà sempre riconoscenti, per gli insegnamenti, le regole, le gioie e dolori, vittorie e sconfitte . Tutto questo nella vita te lo ritrovi tutti i giorni ed averlo imparato divertendosi è sicuramente un enorme privilegio. Sicuramente mio figlio nella sua passione per questo sport ha già avuto molte opportunità di crescita con la frequentazione dell’Accademia di Tirrenia, essersi misurato con livelli di gioco molto alti ed essere arrivato in massima serie molto giovane. Da bimbo lo allenavo, poi è stato giusto che andasse per la sua strada ma l’unica cosa che gli ripeto sempre è di non commettere gli errori miei di cui parlavo prima. Vedo che questo lo ha recepito molto bene, poi per perfezionarsi a battere, prendere , correre se ha le qualità avrà tempo”.
Tutta la trafila nelle nazionali Under e poi la Nazionale maggiore con 24 presenze. Ricordi di quel periodo?
“L’attività con le nazionali è iniziata con l’Under 18. Allora non c’era altro prima. Ricordo uno splendido staff di allenatori che ci hanno dato tanto anche dal profilo umano. Montanini manager, Fanara coach e Zucconi coach che purtroppo il COVID ci ha portato via pochi giorni fa. L’ultimo anno di under 18 hanno iniziato le prime convocazioni con la maggiore e sperimentale come lanciatore poi interrotte per l’infortunio alla spalla. Da lì la voglia e desiderio di indossare ancora la maglia azzurra ma questa volta da prima base e dopo un lungo lavoro è arrivata. Un duro lavoro che stava coronando il sogno di una vita, le Olimpiadi del 96, ma un infortunio 10 giorni prima della partenza non mi ha permesso di partecipare. Ma ho ricominciato ancora più duramente riprendendomi pienamente”.
Torniamo a quei 2 turni di battuta dei Campionati mondiali del 1998, una prestazione straordinaria nel box arricchita da 2 home run che permisero a voi Azzurri battendo l’Australia di conquistare il quarto posto assoluto al Mondiale. Chiudi gli occhi e raccontaci quei turni che esaltarono decine di migliaia di spettatori sugli spalti.
“Vorrei fare una premessa sul mondiale del 98. Sono arrivato alla convocazione dopo una parte di stagione molto proficua. Nelle amichevoli pre mondiale ho battuto 1/21 con 19 k, questi in pochi lo sanno. Chiaramente mi aspettavo il taglio dalla squadra, invece lo staff (Ambrosioni, Varriale , Guzman e soprattutto Faraone) mi diedero fiducia. Le prime tre partite non le ho giocate. Poi nella partita con la Spagna mi ritrovo titolare grazie all’insistenza di Giampiero Faraone che ricordava le mie prestazioni contro questa nazionale. Venne da me e mi disse a modo suo ed in nettunese che mi dava fiducia: “Gioca come sai e spaccagli il c…” (scusate il francesismo da spogliatoio).. In quella partita feci 2 hr ed una prestazione eccezionale in difesa ma purtroppo perdemmo. Da quel giorno fui sempre titolare e vinsi la classifica fuoricampo davanti a tutti, sopratutto i cubani ancora giocatori di Mlb rilegati tra i dilettanti. L’emozione di fare due hr all’Australia davanti a tutto quel pubblico e le serate successive di semifinali e finali non ha però paragoni con le parole di Giampiero prima della partita contro la Spagna. Il riconoscimento di fiducia e rispetto da parte di una persona che ha fatto la storia del baseball nettunese ed italiano non ha per me avuto mai più paragoni con nessuna altra vittoria prestigiosa nel baseball”.
Qual è il tuo rapporto ora con il baseball?
Purtroppo o per fortuna il lavoro mi ha allontanato dai campi anche se resto nell’ambiente sotto altra veste. Ho provato svariate volte ad allenare under 12/15/18 ma sono lontani dal mio modo di vedere baseball ed è uno scontro continuo con i genitori. Non fa per m . Come detto all’inizio questo sport è uno stile di vita e non un passatempo”.
Conoscevi la realtà di Legnano?
“Conoscevo la società del Legnano in quanto amico, estimatore ed ammiratore di Chicco Pisi come tecnico e uomo di tempo direi da 40 anni, ma non mi aspettavo un’organizzazione così capillare è strutturata. Veramente complimenti”.
Hai incontrato i ragazzi della serie B, hai dato loro indicazioni nella chiacchierata fatta?
Le cose che mi sento di dire ai ragazzi di oggi sono sicuramente: rispetto del campo, rispetto dell’avversario, rispetto delle regole e settore arbitrale, avere fame e cattiveria sportiva e scegliere questo sport come filosofia di vita, non come passatempo. Purtroppo solo 4 su 5 di queste qualità hanno fatto parte della mia carriera, se avessi rispettato anche la quinta probabilmente avrei potuto ottenere molto di più, ma capirlo mi ha permesso di sbagliare meno nella vita . Grazie veramente di cuore per questa possibilità che ci avete dato di provare a trasmettere i valori di questo sport ai ragazzi e conoscere da vicino una società così accogliente e veramente ben strutturata”.